Questa è la domanda che la maggior parte del top management si sta ponendo nel più recente periodo.
Le iniziative di Diversità e Inclusione sono una vera necessità strategica o un semplice trend del momento per apparire più etici?
È cruciale, in primo luogo, definire la differenza tra Diversity e Inclusion: la diversità fa riferimento a tutte le differenze presenti all’interno di un gruppo di individui, rendendoli unici e distinguibili, dunque razza, etnia, genere, disabilità, orientamento sessuale e religioso, differenze cognitive, fisiche, sociali e molto altro; l’inclusione è, invece, la pratica di riconoscimento e comprensione della diversità altrui, nonché di valorizzazione di esse, creando un ambiente sicuro ed equo.
Praticare, dunque, la Diversity&Inclusion in azienda significa adottare una strategia basata sull’accoglienza delle diversità per trasformarle in un punto di forza, al fine di ottimizzare il potenziale unico di ogni persona; tuttavia, nonostante sia un paradigma sempre più diffuso – soprattutto nelle aziende di matrice anglosassone – il panorama italiano presenta ancora forti lacune.
Qualche dato
Secondo un’indagine del 2018 condotta da ISTUD Business School e Wise Growth su un campione di 55 aziende di grandi dimensioni, meno di un terzo monitora attivamente la composizione e lo sviluppo della forza lavoro con un focus su D&I; ancora meno, circa il 16% ha implementato iniziative specifiche per dipendenti appartenenti alla comunità LGBTQIA+ (Fonte: Harvard Business Review Italia, 2018). Inoltre, nonostante la formazione manageriale sugli argomenti D&I sia la più diffusa, non tutte le tematiche ricevono eguale approfondimento ed attuazione: la più diffusa è quella del gender gap, per poi seguire le iniziative rivolte ai giovani, ed infine ai disabili.
Dall’altra parte, tra il 2020 e il 2021, molte aziende estere tra cui Microsoft, Boeing e Best Buy, hanno iniziato ad introdurre pratiche di D&I formative, aumentando anche il numero di professionisti dedicati: più di sessanta aziende americane hanno nominato per la prima volta un CDO, Chief Diversity Officer (Fonte: Harvard Business Review, 2021).
Come applicare in azienda il D&I?
Oltre all’ormai consolidata flessibilità lavorativa e all’estremamente necessario investimento nella formazione di tutta la popolazione aziendale partendo dal top management, di cruciale importanza è attuare politiche chiare e applicate in modo coerente che riflettano l’impegno dell’azienda verso la diversità e l’inclusione.
Ciò si traduce in pratiche inclusive che partono dal momento del reclutamento e si estendono fino alla presenza consolidata dei dipendenti all’interno dell’azienda:
- Recruiting per tuttə: pubblicare le vacancies utilizzando un linguaggio gender neutral e valutare con un criterio che sia gender balanced, colloquiando con un approccio aperto e privo di bias;
- Diventare ambassadors di temi legati alla diversità, ad esempio scegliendo di partecipare solo ad eventi o iniziative che rispecchino i temi del rispetto e dell’accoglienza, in linea con quelli aziendali;
- Offrire moduli di formazione personalizzata basati sulle esigenze specifiche dei dipendenti e dei team: training su temi come l’accessibilità digitale, la gestione delle diversità culturali e la promozione di un ambiente di lavoro inclusivo;
- Leadership diversificata e inclusiva: la presenza di leader diversi in un’organizzazione, così come uno stile di leadership accogliente verso le diversità, consente di creare un contesto equo e sicuro;
- Utilizzare un approccio basato sui dati per identificare aree di intervento prioritario e di valutare l’efficacia delle iniziative adottate, attraverso il monitoraggio e la raccolta continua di informazioni.
Porta davvero a risultati positivi?
È importante notare che gran parte delle aziende che hanno un programma D&I sono più attrattive per i giovani talenti e hanno un maggiore coinvolgimento dei dipendenti, contribuendo agli aumenti dei livelli di performance. Un’indagine di McKinsey&Company (2022) riepiloga i principali benefit dell’implementazione del Diversity in azienda:
- Attrarre talenti: le organizzazioni che monitorano le caratteristiche della popolazione aziendale trattengono i migliori performer, assicurandosi che i talenti diversificati non vadano persi;
- Migliorare la qualità del processo decisionale: l’eterogeneità permette di avere molteplici prospettive di nei momenti in cui sono necessarie capacità di risoluzione dei problemi e visioni differenti;
- Aumentare la conoscenza e l’innovazione: i team diversificati sono in genere più innovativi e più pronti ad anticipare i cambiamenti;
- Promuovere la motivazione e la soddisfazione: stimolando una cultura basata sul teamworking, aumenta l’engagement dei dipendenti, fortemente legato a un senso di inclusione;
- Migliorare l’immagine globale di un’azienda: le aziende che riescono a mantenere o aumentare la loro attenzione all’inclusione e alla diversità hanno ottimi risultati in termini di employer branding.
Quindi, possiamo dirlo: sì, il D&I serve davvero in azienda.
C’è un ampio consenso sul fatto che luoghi di lavoro diversificati e inclusivi siano fautori di ambienti lavorativi equi e sicuri, che valorizzano i contributi di tutti i dipendenti, cogliendo i bisogni differenti in base alle caratteristiche della popolazione aziendale.
In parole povere, è la cosa giusta da fare. Inoltre, le aziende diversificate e inclusive trovano e coltivano i migliori talenti, aumentano il coinvolgimento dei dipendenti e aumentano la propensione dei clienti ad affidarsi a loro.
Autore: Corinna Cellini